“DA CRISALIDE A FARFALLA: COME NASCE UNA SQUADRA OLIMPICA”
Intervista a: Valerio Vaccaro, preparatore atletico
A cura di: Daniela Piccone
5 luglio 2021
Vorrei che mi raccontassi della tua esperienza come preparatore atletico della nazionale di Beach volleyball della Repubblica Ceca, che si è qualificata per le imminenti olimpiadi di Tokio.
Siamo nell’ultima fase della preparazione atletica dei ragazzi prima di Tokio. Sono appena rientrato da un training camp a Formia con altre squadre nazionali qualificate alle Olimpiadi: quella italiana e quella norvegese.
Nella tua carriera hai lavorato solo con squadre maschili o anche femminili?
Da cinque anni lavoro con la squadra maschile della Repubblica Ceca, per un anno abbiamo seguito anche la squadra femminile Ceca ma la collaborazione con le ragazze non è sbocciata e il rapporto con loro s’è interrotto... Con le ragazze è differente, è molto più complicato, è un altro mondo e un altro approccio.
Con i ragazzi, come ti dicevo, siamo alle battute finali prima delle Olimpiadi. Questa ultima parte della preparazione la stiamo facendo a Formia, location perfetta come centro di preparazione fisica, grazie al fatto che ha tutto il necessario all’interno del centro stesso: ristorante, foresteria, palestra, campi da gioco e non si subisce lo stress degli spostamenti in mezzo al traffico, come invece accade a Roma. Le location dove ci siamo allenati in questo ultimo anno sono state Formia, Tenerife, Roma e Praga.
Raccontami questo percorso, come è nata la cosa, cosa ti ha spinto?
Nella vita mi capita di trovarmi al posto giusto al momento giusto, sono stato in parte fortunato. Allenavo l’attuale allenatore della Repubblica Ceca, Andrea Tomatis, che allora era un atleta.
Com’è composta l’equipe che prepara gli atleti ad andare alle Olimpiadi?
La figura principale è l’allenatore, è suo il merito del miglioramento tecnico dei ragazzi, per avergli insegnato un sistema di gioco. Andrea ha fatto un grandissimo lavoro come allenatore ed è stato costretto anche a coprire la funzione del team manager. Mentre io mi sono occupato della preparazione fisica e dell’alimentazione dei ragazzi. Un team completo prevede idealmente anche la presenza di un secondo allenatore, di uno scout man, di un fisioterapista, di un mental coach e di un team manager.
Cinque anni è un tempo lungo per costruire una squadra?
È un tempo sufficiente, adesso si vede il risultato del lavoro fatto nei cinque anni precedenti. Il torneo olimpico è il momento più importante della carriera di un atleta, l’obiettivo comune del nostro team è provare a far coincidere il picco di forma dei ragazzi con questa occasione.
Può partire solo Andrea come allenatore a causa del Covid, io non potrò essere fisicamente lì, ma riuscirò comunque ad essere presente grazie ai collegamenti online e nonostante tutte le difficoltà del fuso orario.
Mi ha colpito che per i Tornei del circuito mondiale si qualifica una sola coppia e che non ci sono riserve...
Esiste un sistema di ricalcolo dei punteggi appartenenti a ciascun giocatore che rende estremamente difficile poter utilizzare il giocatore di riserva, quindi risulta molto importante preservare al massimo la salute della coppia.
Quindi anche l’equilibrio della coppia di atleti è fondamentale...
Sì, questi ragazzi hanno vissuto in simbiosi per 5 anni, condividendo anche momenti di tensione dovuti al forte stress. Non è sicuramente un elemento da trascurare il menage della coppia, considerando che i ragazzi si trovano, quasi sempre, a condividere anche la camera da letto, riducendo al massimo quelli che possono essere i momenti di privacy personale.
Si parla comunque di professionisti, uno è il giocatore di muro e l’altro è il giocatore di difesa, se dovesse nascere un’ amicizia è sicuramente meglio, se non si dovessero sopportare potrebbe essere un grosso problema, se invece fossero indifferenti l’uno all’altro, mantenendo un atteggiamento professionale potrebbe comunque funzionare. Nel nostro caso siamo stati fortunati perché sono dei ragazzi senza grilli per la testa, non bevono, non fumano e sono fidanzati, seguono pedissequamente quello che gli viene detto di fare: a livello di allenamento, di alimentazione e in campo. Si sono effettivamente affidati completamente a noi.
La lingua è stata un problema ?
No, non è stato un problema, riusciamo a comunicare in Inglese: Andrea lo parla molto bene, io sicuramente meno, ma questi anni di collaborazione mi hanno obbligato a migliorare la mia capacità di esprimermi utilizzando questa lingua. Inoltre, uno dei ragazzi sta imparando l’italiano e l’altro adesso lo capisce abbastanza bene. La comunicazione verbale non è più un problema.
Dove vivono Ondrej e David durante l’anno?
Dipende dal momento dell’anno, quando fanno preparazione a Roma affittano un appartamento, un lungo periodo siamo stati a Tenerife, le ultime 6 settimane di preparazione le abbiamo fatte a Formia e abbiamo concluso il percorso a Praga, da dove sono partiti per Tokio.
Qual è stata la “ricetta” per arrivare al traguardo olimpico?
Il team ha svolto un enorme lavoro, i ragazzi da numero 100 sono diventati numero 6 al mondo. Hanno tutti gli strumenti per fare bene, se la testa non gli gioca brutti scherzi potrebbero togliersi delle belle soddisfazioni. Il sogno resta sempre la medaglia. Abbiamo cercato di metterli nelle condizioni migliori per affrontare questo appuntamento importantissimo, dal punto di vista tecnico, tattico e fisico. La testa è un altro paio di maniche...
Cinque anni fa abbiamo iniziato il percorso solamente in due: Andrea ed io. Oggi la “band” si è allargata e possiamo contare anche sull’ausilio del secondo allenatore (Matteo Galli), del fisioterapista (Lukas Krist), dello scout man (Jaroslav Bartos), tutte figure che hanno svolto e che svolgono tuttora un ruolo fondamentale nella preparazione dei ragazzi ad affrontare un torneo. Ogni ruolo è specifico e si occupa di un settore, ma tutti comunicano con l’allenatore che fa da direttore d’orchestra.
Perché dici che la testa è un altro paio di maniche?
Si chiama paura di vincere, che corrisponde a quello status in cui si hanno tutti gli strumenti per arrivare al massimo risultato, ma non si riesce ad esprimerlo a causa della troppa pressione che si percepisce. In campo questa condizione si manifesta ad esempio da una rincorsa d’attacco meno veloce ed aggressiva o anche dal braccio non in massima estensione quando colpisce la palla o ancora da palloni giocati “a mezzo servizio” e facilmente difendibili dagli avversari e chi più ne ha più ne metta, è la nemesi della condizione di “flow” che si ha quando invece si ha una sorta di sensazione di “onnipotenza”, si è incredibilmente concentrati su quello che si sta facendo in quel determinato momento e non passa nemmeno per l’anticamera del cervello la possibilità di poter perdere.
Cosa ti è piaciuto di più di questa tua esperienza quinquennale con questa squadra?
Vedere i ragazzi vincere contro squadre che non riuscivamo mai a battere. Vedere la grossa trasformazione dei ragazzi da perfetti sconosciuti a top team, raggiungere la qualificazione Olimpica a discapito delle scarse possibilità che avevamo all’inizio. Anche la soddisfazione di riuscire a capire, dopo svariate prove ed errori, come risulti meglio allenare un atleta per metterlo nelle condizioni di performare al massimo.
Abbiamo visto che la gestione dell’ allenamento dei componenti della squadra è fortemente differenziata, e cosa accade per l’alimentazione?
Entrambi, quando abbiamo cominciato, venivano da un’alimentazione completamente sregolata, quindi il primo passo è stato quello di educarli sotto questo punto di vista… Un trauma per loro. Poi invece, dopo la “disintossicazione” da zuccheri raffinati, hanno compreso i benefici di un’alimentazione più salutare.
Uno dei due, il muratore, sembra avere un problema con il glutine ed ha un sistema immunitario leggermente meno forte a causa di una brutta mononucleosi e di una pertosse contratte simultaneamente da bambino, risultato: si ammala più facilmente (ovviamente ha avuto anche il Covid).
Cosa ti aspetti per il tuo prossimo futuro?
Sapevo da tempo che questa era la mia vocazione, ho investito questi ultimi cinque anni (senza considerare i 20 precedenti) facendo anche più cose contemporaneamente per riuscire a raggiungere questo obiettivo che per me è sempre stato prioritario.
Finite queste Olimpiadi penso che arriverà il momento delle scelte, cioè capire quello che vorrò fare realmente da “grande”, sarà un periodo di cambiamenti. Se tutto va come deve andare, vorrei ridurre il lavoro da personal trainer e sostituirlo con quello da preparatore atletico per atleti di alto livello, continuare in Federazione Italiana Pesistica con la formazione, e continuare ovviamente con la nutrizione. Sento che sta finendo un ciclo, oggi ho 44 anni e avverto il bisogno di un cambiamento, di un’ ulteriore evoluzione.
Ad un giovane che volesse fare questo percorso come lo hai fatto tu, cosa consiglieresti?
Altro consiglio che ritengo importante è quello di avere pazienza e di non buttarsi a capofitto in un qualcosa per cui ancora non si è pronti, bruciare le tappe della propria evoluzione professionale non porta mai a buoni risultati.
Se dovessi riassumere il tutto con poche parole direi sicuramente “fatevi trovare pronti”: le occasioni capitano ed è un peccato sprecarle.